Allevamenti a basse emissioni: le sfide e le soluzioni
Basse emissioni negli allevamenti: una sfida concreta, tra pragmatismo ambientale e sostenibilità agricola
In un momento storico in cui il dibattito sull’ambiente rischia spesso di incagliarsi in contrapposizioni ideologiche, il workshop organizzato da Legambiente Lombardia – dal titolo inequivocabile "Allevamento a basse emissioni. Clima e qualità dell’aria: quali strategie per ridurre le emissioni di metano da fonti zootecniche?" – ha offerto un’occasione preziosa per un confronto tecnico e costruttivo, volto a informare, riflettere e soprattutto agire.
L'iniziativa ha radunato una sessantina di partecipanti, tra pubblico presente in sala e collegato online, in un incontro che ha volutamente evitato derive ideologiche, ponendosi come un tavolo tecnico.
Il moderatore, Damiano Di Simine – responsabile ricerca e sviluppo di Legambiente Lombardia – ha guidato il dibattito, articolato attorno a un tema cruciale e spesso sottovalutato: le emissioni di metano provenienti dal settore zootecnico.
Il metano, il gas "dimenticato" che può fare la differenza
Il metano, come ricordato da Di Simine, è il secondo gas serra più rilevante dopo la CO₂, ma con un dettaglio chiave: la sua permanenza in atmosfera è molto più breve, circa 12 anni. Questo significa che agire oggi sulle emissioni di metano può generare benefici rapidi e concreti nella lotta al riscaldamento globale. L’impegno assunto da 158 Paesi – Italia inclusa – con il Global Methane Pledge prevede una riduzione del 30% delle emissioni di metano entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020. Un obiettivo ambizioso ma necessario. |
Se è vero che il settore energetico – in particolare petrolio e gas – è chiamato a un’azione prioritaria, l’agricoltura, e in particolare la zootecnia, non può restare a guardare. In Italia, infatti, l’agricoltura è il primo settore emissivo di metano, con un peso notevole soprattutto in Pianura Padana.
Zootecnia e metano: consapevolezza in crescita, ma ancora insufficiente
Secondo Di Simine, la consapevolezza tra gli allevatori – specie lombardi – sull’impatto delle emissioni di metano è ancora troppo limitata. Diverso il discorso per l’ammoniaca, su cui la sensibilità è maggiore grazie anche alle evidenze legate alla qualità dell’aria.
Ma il metano, specie quello prodotto dai ruminanti (emissioni enteriche) e dalla gestione delle deiezioni, è ancora considerato da molti come un "male necessario".
Tuttavia, esistono strategie già oggi applicabili: dall’uso di additivi alimentari per ridurre la fermentazione intestinale, a soluzioni di gestione anaerobica dei liquami, fino all’adozione di impianti di biogas e biometano. Ma attenzione: se mal gestiti, questi impianti rischiano di diventare essi stessi fonte di “emissioni fuggitive”, vanificando i benefici promessi. È quindi cruciale puntare sulla qualità dell’impiantistica e sulla corretta manutenzione.
La sfida del carico zootecnico e la necessità di riequilibrio territoriale
Un tema delicato emerso durante il workshop è quello della concentrazione eccessiva di allevamenti in alcune aree – come la Lombardia orientale – a scapito di altre zone dove invece la presenza zootecnica è pressoché nulla. Questo squilibrio si traduce in problemi nella gestione dei nutrienti, come l’azoto, e in una dipendenza crescente dalle importazioni di mangimi e foraggi (soia e mais), che mina l'autosufficienza del sistema agricolo. L’idea di "ridurre il numero di animali" non viene presentata come una scorciatoia da Legambiente, ma come una possibile conseguenza di un ragionamento più ampio: ristrutturare il sistema in modo intelligente, senza penalizzare le piccole aziende agricole, anzi sostenendole. |
Soluzioni innovative e modelli cooperativi
Tra i casi virtuosi citati, uno in particolare ha suscitato interesse: un modello cooperativo veneto in cui più allevatori, anche di piccola dimensione, conferiscono i loro liquami a un unico impianto di biometano, gestito da un soggetto terzo.
Questo sistema consente di abbattere le emissioni, restituire alle aziende digestato e fertilizzanti al momento più opportuno per le coltivazioni, e soprattutto evitare che ogni singola realtà debba farsi carico di un impianto costoso.
Un modello replicabile? Secondo i relatori, sì, anche se oggi è ancora raro.
La sostenibilità deve andare di pari passo con la redditività
Il grande tema che ha attraversato tutto il workshop è uno: la sostenibilità ambientale dell’allevamento non può prescindere dalla sostenibilità economica delle aziende.
Come ha ricordato Di Simine, l’Italia sta assistendo alla scomparsa progressiva delle piccole e medie aziende agricole, senza che questo riduca il numero totale di animali allevati. Il risultato è una concentrazione produttiva crescente, con impatti anche sociali e territoriali.
Serve invece un’inversione di rotta, che valorizzi chi produce con qualità, chi preserva il territorio, chi offre lavoro nelle aree rurali. E serve anche una distribuzione più equa del valore nella filiera: “È inaccettabile – ha osservato provocatoriamente Di Simine – che il Grana Padano si trovi a 14 euro al chilo e le sottilette a 18. Qualcosa non torna nella valorizzazione della qualità”.
Emissioni in zootecnica: uno sguardo avanti
Il workshop si è rivelato un’occasione preziosa per ribadire che la transizione ecologica del settore zootecnico non è solo necessaria, ma possibile. Serve volontà politica, consapevolezza tecnica, investimenti mirati e soprattutto un approccio pragmatico e inclusivo.
Come quello proposto da Legambiente: niente crociate, ma soluzioni concrete e partecipate. Perché, come è emerso più volte, la sostenibilità non è solo ambientale, ma anche sociale ed economica.